Elisabetta Cardella, born 1980, works in Toscana, a Calci (PI). She studied traditional drawing, painting and sculptural techniques at the Istituto d’Arte. During that time she created large colorful paintings of figures and animals in imaginary settings.
During the University years she studied art history which she discreetly incorporates and references in her current work. She also learned the technique of gilding at Palazzo Spinelli, Firenze. From this grounding in traditional techniques she then moved towards digital media and developed work in the area of print and communications, specializing in Graphic Design e Multimedia at LABA in Florence, writing her thesis on Museum Communication. As a graphic designer she has collaborated on various events and museum exhibitions.
Her current work incorporates aspects of all of these different phases of technical and conceptual development. She uses digital mixed media to create portraits and creatures living in surreal atmospheres, suspended in time. Lightness and transparency are achieved through combining different kinds of organic forms and texture. She explores the relationship between the body and nature, feelings, emotions, instincts and primordial human weaknesses. She creates a dialogue between traditional art forms and new media, bringing contemporary imagination to revisit classical compositions.
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Elisabetta Cardella nasce nel 1980 e attualmente lavora nel suo studio in Toscana, a Calci (PI). Negli anni dell’Istituto d’Arte acquisisce le tecniche tradizionali del disegno, della pittura e della scultura. All’epoca realizza grandi quadri colorati e animati da molte figure di fantasia in luoghi inverosimili. Durante gli anni dell’Università approfondisce la Storia dell’Arte i cui riferimenti e suggestioni sono presenti nelle sue opere attuali. Apprende la tecnica della doratura a Palazzo Spinelli, Firenze. Dalle tecniche tradizionali passa al digitale e approfondisce il settore della stampa e della comunicazione specializzandosi in Graphic Design e Multimedia presso la LABA di Firenze con una tesi in comunicazione museale. In qualità di grafica collabora a progetti di diversi eventi e allestimenti museali.
Le sue opere ripercorrono e assorbono tutte le fasi della sua formazione sia concettualmente che a livello tecnico. Lavora in digitale creando personaggi sospesi nel tempo avvolti in atmosfere cupe e surreali. In particolare esplora il rapporto tra il corpo e la natura indagando sentimenti, emozioni, istinti e debolezze umane. Le forme organiche naturali sono la sua primaria fonte di ispirazione (texture dal micro al macro). Unisce la pittura tradizionale ai nuovi media, schemi compositivi classici a riferimenti all’attualità e all’immaginario contemporaneo.
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Elisabetta Cardella tra profondità del pensare e ricchezza del fare.
Elisabetta sembra partire da un chiaro assunto: l’arte è una cosa seria, ma è anche un bellissimo gioco. Il gioco di scovare in se stessi zone inesplorate e mai immaginate; di far affiorare ricordi, emozioni, suggestioni dimenticate; di provare le capacità di conoscere i materiali e le tecniche, di saperle piegare ai desideri, fino ad arrivare a cercare di penetrare nei misteri dell’esistenza. Davvero un bellissimo e spesso sofferto gioco. Un gioco in cui la persona tende a rompere il cerchio della solitudine e a cercare rapporti, relazioni, per scoprire il suo posto in una comunità. Riscoprire la solidarietà, trovare gusto nel parlare insieme di cose futili o serie e immaginare il futuro, come quando, da bambini, si dava sfogo alla fantasia inventando storie, vicende, trame che molte volte si sostituivano alla stessa realtà. Elisabetta Cardella si addentra in queste difficili e complesse questioni, utilizzando in modo innovativo una tecnica nota – il collage – facendolo uscire dalle due dimensioni per proiettarlo nella dimensione volumetrica; ottenendo, quindi, effetti di intenso plasticismo e collegandosi a quelle immagini della cultura artistica a lei più note o congeniali. O utilizzando in maniera assai preziosa la stampa digitale. Opere di stupefacente preziosità nello studio dei particolari, caratterizzate da squisitezza compositiva, segni di un’insondabile profondità del sentire. Le sue opere sono il frutto di un lavoro progettuale attento e scrupoloso. Del resto, la pratica dell’arte, esplicandosi attraverso un conoscere, un apprendimento ed un fare teorico-scientifico, tecnico-pratico e storico-critico insieme non può prescindere dal fondamento dell’analisi e della memoria; quindi, da un metodo di ricerca ed elaborazione di ordine progettuale. Nella sua operatività ogni prodotto è il risultato di riflessione e necessità: l’arte non può realizzarsi come sola produzione di oggetti finalizzati a un mercato di per sé incerto e sconcertante nei valori, ma, semmai, deve offrire risposta alle necessità della ricerca creativa, per coglierne la funzione e la condizione d’uso nel contesto sociale. Le sue visioni, cariche di accordi e varianti cromatiche di notevole efficacia espressiva, collocano le immagini – in tutte le loro componenti, anche le più minute – nel preciso punto spazio-temporale in cui le arresta la sua analitica mente. E il suo occhio, reso ancora più acuto da una fluente cascata di emozioni, le raccoglie e le sintetizza in un fascinoso spazio popolato di arcani simboli, reali o virtuali. La vita dei simboli è come una giungla che aggroviglia e dalla quale si può uscire sconvolti o non uscire affatto, ma che al tempo stesso affascina e intriga a tal punto che non si può fare a meno di viverla. Opere che scaturiscono da interiori percorsi fantastici; che si esplicano con l’andamento di una ritmica composizione musicale; percorsi che, se guardati dal di fuori potrebbero apparire nella loro dimensione decorativa, ma, se guardati dal di dentro – attraverso un processo di interiorizzazione – acquistano un’esistenza particolare suggerendo misteriosi significati, guidati, sì, dalla creatività dell’artista, ma in larga parte affidati alla percezione e alla riflessione dell’osservatore. Un’artista, dunque, per cui la questione della realtà del mondo esterno porta come conseguenza al quesito della discriminazione tra illusione e realtà, tra fantasia e dato fenomenico. Con un apprezzabile dubbio finale: è veramente possibile conoscere l’essenza delle cose e penetrare nell’intimo dei fenomeni? Sciogliere il dubbio è davvero impresa ardua. E allora torna di attualità una riflessione che Franco Russoli fece molti decenni fa:” “…Cerchiamo di vedere se veramente l’arte è ridotta ormai al mondo di chi la fa e di chi la accetta senza altra necessità che non quella di uno sfogo psicanalitico o se invece l’arte è ancora uno degli elementi non per rallegrare e decorare, ma uno degli elementi per capire noi e il nostro mondo”. “Fare arte – continuava – significa cercare una risposta adeguata e pungente al mistero e all’angoscia continui che premono l’individuo nel suo normale colloquio col mondo e con se stesso, significa calarsi in pieno nella fossa dei serpenti delle immagini cui ancora affidiamo integralmente il nostro essere: i nostri luoghi, i nostri volti, e che senso abbiano per noi la natura e le cose”.
BIO
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Elisabetta Cardella
VISUAL DIGITAL ARTIST_GRAPHIC DESIGNER
Elisabetta Cardella, born 1980, works in Toscana, a Calci (PI). She studied traditional drawing, painting and sculptural techniques at the Istituto d’Arte. During that time she created large colorful paintings of figures and animals in imaginary settings.
During the University years she studied art history which she discreetly incorporates and references in her current work. She also learned the technique of gilding at Palazzo Spinelli, Firenze. From this grounding in traditional techniques she then moved towards digital media and developed work in the area of print and communications, specializing in Graphic Design e Multimedia at LABA in Florence, writing her thesis on Museum Communication. As a graphic designer she has collaborated on various events and museum exhibitions.
Her current work incorporates aspects of all of these different phases of technical and conceptual development. She uses digital mixed media to create portraits and creatures living in surreal atmospheres, suspended in time. Lightness and transparency are achieved through combining different kinds of organic forms and texture. She explores the relationship between the body and nature, feelings, emotions, instincts and primordial human weaknesses. She creates a dialogue between traditional art forms and new media, bringing contemporary imagination to revisit classical compositions.
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Elisabetta Cardella nasce nel 1980 e attualmente lavora nel suo studio in Toscana, a Calci (PI). Negli anni dell’Istituto d’Arte acquisisce le tecniche tradizionali del disegno, della pittura e della scultura. All’epoca realizza grandi quadri colorati e animati da molte figure di fantasia in luoghi inverosimili. Durante gli anni dell’Università approfondisce la Storia dell’Arte i cui riferimenti e suggestioni sono presenti nelle sue opere attuali. Apprende la tecnica della doratura a Palazzo Spinelli, Firenze. Dalle tecniche tradizionali passa al digitale e approfondisce il settore della stampa e della comunicazione specializzandosi in Graphic Design e Multimedia presso la LABA di Firenze con una tesi in comunicazione museale. In qualità di grafica collabora a progetti di diversi eventi e allestimenti museali.
Le sue opere ripercorrono e assorbono tutte le fasi della sua formazione sia concettualmente che a livello tecnico. Lavora in digitale creando personaggi sospesi nel tempo avvolti in atmosfere cupe e surreali. In particolare esplora il rapporto tra il corpo e la natura indagando sentimenti, emozioni, istinti e debolezze umane. Le forme organiche naturali sono la sua primaria fonte di ispirazione (texture dal micro al macro). Unisce la pittura tradizionale ai nuovi media, schemi compositivi classici a riferimenti all’attualità e all’immaginario contemporaneo.
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Elisabetta Cardella tra profondità del pensare e ricchezza del fare.
Elisabetta sembra partire da un chiaro assunto: l’arte è una cosa seria, ma è anche un bellissimo gioco. Il gioco di scovare in se stessi zone inesplorate e mai immaginate; di far affiorare ricordi, emozioni, suggestioni dimenticate; di provare le capacità di conoscere i materiali e le tecniche, di saperle piegare ai desideri, fino ad arrivare a cercare di penetrare nei misteri dell’esistenza. Davvero un bellissimo e spesso sofferto gioco. Un gioco in cui la persona tende a rompere il cerchio della solitudine e a cercare rapporti, relazioni, per scoprire il suo posto in una comunità.
Riscoprire la solidarietà, trovare gusto nel parlare insieme di cose futili o serie e immaginare il futuro, come quando, da bambini, si dava sfogo alla fantasia inventando storie, vicende, trame che molte volte si sostituivano alla stessa realtà.
Elisabetta Cardella si addentra in queste difficili e complesse questioni, utilizzando in modo innovativo una tecnica nota – il collage – facendolo uscire dalle due dimensioni per proiettarlo nella dimensione volumetrica; ottenendo, quindi, effetti di intenso plasticismo e collegandosi a quelle immagini della cultura artistica a lei più note o congeniali. O utilizzando in maniera assai preziosa la stampa digitale. Opere di stupefacente preziosità nello studio dei particolari, caratterizzate da squisitezza compositiva, segni di un’insondabile profondità del sentire.
Le sue opere sono il frutto di un lavoro progettuale attento e scrupoloso.
Del resto, la pratica dell’arte, esplicandosi attraverso un conoscere, un apprendimento ed un fare teorico-scientifico, tecnico-pratico e storico-critico insieme non può prescindere dal fondamento dell’analisi e della memoria; quindi, da un metodo di ricerca ed elaborazione di ordine progettuale. Nella sua operatività ogni prodotto è il risultato di riflessione e necessità: l’arte non può realizzarsi come sola produzione di oggetti finalizzati a un mercato di per sé incerto e sconcertante nei valori, ma, semmai, deve offrire risposta alle necessità della ricerca creativa, per coglierne la funzione e la condizione d’uso nel contesto sociale.
Le sue visioni, cariche di accordi e varianti cromatiche di notevole efficacia espressiva, collocano le immagini – in tutte le loro componenti, anche le più minute – nel preciso punto spazio-temporale in cui le arresta la sua analitica mente. E il suo occhio, reso ancora più acuto da una fluente cascata di emozioni, le raccoglie e le sintetizza in un fascinoso spazio popolato di arcani simboli, reali o virtuali.
La vita dei simboli è come una giungla che aggroviglia e dalla quale si può uscire sconvolti o non uscire affatto, ma che al tempo stesso affascina e intriga a tal punto che non si può fare a meno di viverla.
Opere che scaturiscono da interiori percorsi fantastici; che si esplicano con l’andamento di una ritmica composizione musicale; percorsi che, se guardati dal di fuori potrebbero apparire nella loro dimensione decorativa, ma, se guardati dal di dentro – attraverso un processo di interiorizzazione – acquistano un’esistenza particolare suggerendo misteriosi significati, guidati, sì, dalla creatività dell’artista, ma in larga parte affidati alla percezione e alla riflessione dell’osservatore.
Un’artista, dunque, per cui la questione della realtà del mondo esterno porta come conseguenza al quesito della discriminazione tra illusione e realtà, tra fantasia e dato fenomenico. Con un apprezzabile dubbio finale: è veramente possibile conoscere l’essenza delle cose e penetrare nell’intimo dei fenomeni? Sciogliere il dubbio è davvero impresa ardua.
E allora torna di attualità una riflessione che Franco Russoli fece molti decenni fa:” “…Cerchiamo di vedere se veramente l’arte è ridotta ormai al mondo di chi la fa e di chi la accetta senza altra necessità che non quella di uno sfogo psicanalitico o se invece l’arte è ancora uno degli elementi non per rallegrare e decorare, ma uno degli elementi per capire noi e il nostro mondo”. “Fare arte – continuava – significa cercare una risposta adeguata e pungente al mistero e all’angoscia continui che premono l’individuo nel suo normale colloquio col mondo e con se stesso, significa calarsi in pieno nella fossa dei serpenti delle immagini cui ancora affidiamo integralmente il nostro essere: i nostri luoghi, i nostri volti, e che senso abbiano per noi la natura e le cose”.
di
Ilario Luperini